Lo Smart Working è una parentesi o un viatico?




È nei momenti di crisi che bisogna rilanciare un’azione politica che sia figlia di approfondite riflessioni, capaci di cogliere anche opportunità sulle quali da tempo si discute ma non s’interviene. 

Questa pandemia, tra le tante cose che prima davamo per scontate, ci ha fatto riscoprire l’importanza di valori quali la solidarietà e il rispetto delle regole comuni che governano una società civile. Tra queste, vi sono ovviamente quelle relative al mondo del lavoro e a tutte le relazioni che ne conseguono.

Dallo scorso febbraio è tornato in voga il tema dello Smart Working, un tema che affonda le proprie radici negli anni ‘60/‘70 allorquando, con la disponibilità di computer, terminali, reti di collegamento e successivamente con la crisi petrolifera e la riduzione dei consumi energetici, diversi studiosi, politici e imprenditori iniziarono a parlare della possibilità di lavorare da casa. 

In Italia, sono passati più di 20 anni dalla pubblicazione della legge che prevedeva per le Pubbliche Amministrazioni la possibilità di avvalersi di forme di lavoro a distanza, ovvero dalla legge n. 191 del 1998 fino a giungere alla

legge n. 81 del 2017 sullo Smart Working.


Ecco, se in passato la discussione si focalizzava sul telelavoro, oggi più che mai, alla luce delle contingenze, la sfida dello Smart Working assume i connotati di una rivoluzione culturale e organizzativa che va colta. Una rivoluzione perché scardina consuetudini e approcci tradizionali nel mondo del lavoro subordinato, basandosi su una cultura orientata ad una maggiore responsabilizzazione sui risultati, su una valutazione legata alle reali performance e alla valorizzazione complessiva della sfera umana, rimuovendo vincoli legati a concetti di postazione fissa nell’ufficio e aiutando il lavoratore a conciliare i tempi di vita con il proprio lavoro, accrescendone la sua produttività. I benefici derivanti da questa impostazione sarebbero molteplici: ci si concentrerebbe sui risultati del lavoro e non sugli aspetti formali, razionalizzando i costi e migliorando i servizi offerti; si completerebbe la conversione digitale del mercato del lavoro nello sviluppo delle conoscenze digitali; si combatterebbe il fenomeno dell’assenteismo e si valorizzerebbe il patrimonio immobiliare delle P.A. grazie al riutilizzo degli spazi per il coworking.

Insomma, il Covid-19 ha determinato il cortocircuito dell’estroversione performativa rovesciandola nell’immobilità della clausura ma proiettandoci verso nuovi orizzonti, probabilmente epocali. Dagli Smart Village allo Smart Working, è tempo di immaginare un futuro più sostenibile perché è innegabile che quanto accaduto in Italia e nel mondo comporti una rivisitazione dei paradigmi di sviluppo fin’oggi conosciuti e applicati.

Lo Smart Working è una leva di cambiamento per le Pubbliche Amministrazioni, per il mercato del lavoro e per i lavoratori, perché consente di andare oltre l’adempimento, oltre l’ordinario e promuovere la programmazione, la collaborazione ed una migliore gestione dei risultati, mettendo al centro la persona.

Pasquale Villella

Commissario IdM Castrolibero

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