Costruire una città bella, ricca di servizi vicini ai cittadini, con ampi parchi e strade capaci di eliminare il traffico, priva di smog e vivibile anche durante le vacanze. Una città così non è solo un'utopia urbanistica, ma un progetto che può influenzare positivamente la qualità della società insediata: una comunità più colta, solidale e rispettosa della legalità.
Eppure, osservando le città costruite nell'ultimo secolo, emerge un chiaro fallimento nel tradurre questa visione in realtà. Le periferie di città grandi o piccole che siano si presentano spesso amorfe, senza un'anima, prive di servizi , di collegamenti con i riferimenti cittadini, mostrano l'assenza di un disegno urbano leggibile.
Questo è dovuto, nella fase di espansione prevista dai PRG, all'attuazione di Piani Particolareggiati di dimensioni minimali, che non hanno prodotto aree standard di qualità sulle quali realizzare Opere Pubbliche. Standard così modesti e inutilizzabili; reliquati dove accumulare rifiuti su un verde incolto.
Piani particolareggiati che a causa delle ridotte dimensioni superficiarie non possono rappresentare un significativo insediamento urbanistico tanto da poterne apprezzare il disegno e la sua funzione.
Studiosi di urbanistica propongono nuove soluzioni per sanare quartieri cadenti per qualità edilizia e vita sociale, ma manca una riflessione di fondo: chi deve progettare e costruire la città ideale?
La necessità di una visione pubblica
Non possiamo affidare la costruzione della città alla somma scoordinata di interessi privati, che difficilmente, e solo per caso, possono generare qualcosa di bello. Serve una visione d'insieme, un coordinamento, e soprattutto un soggetto forte, competente e autorevole che gestisca il territorio: la Mano Pubblica.
Dobbiamo chiederci: le nostre città sono cresciute seguendo una visione pubblica o sono il risultato di iniziative frammentarie, spesso guidate da normative estemporanee come la legge 167/62, che ha creato insediamenti isolati? La risposta, purtroppo, è evidente.
Perequazione urbanistica: un'occasione mancata
Con grande ritardo, il concetto di perequazione urbanistica, definita come una forma di democrazia urbanistica, è stato introdotto nel nostro Paese. In Calabria, la legge regionale n.19/2002 avrebbe dovuto cambiare radicalmente le regole dell'urbanistica, eliminando espropri, rendite parassitarie e disuguaglianze nei valori dei terreni. Tuttavia, nulla è cambiato. La Regione continua ad approvare PSC che ricalcano i vecchi PRG, ignorando i principi innovativi della perequazione.
La perequazione è stata spesso fraintesa, considerata una sorta di "quantità aleatoria" piuttosto che uno strumento per garantire equità. Secondo il professor Paolo Stella Richter, Professore emerito di diritto urbanistico all'Università degli Studi "la Sapienza" in Roma: "in Italia è raro trovare veri Piani Perequati". L'applicazione della perequazione produce molti volumi che fluttuano nel cielo non sapendo dove atterrare. Questo dimostra una scarsa comprensione del concetto che non dà riscontro dei cardini della perequazione: eliminazione del ricorso all'esproprio, democrazia urbanistica eliminando le rendite parassitarie .
Nuove sfide: consumo di suolo zero e rigenerazione urbana
Anche se si chiarissero i principi della perequazione, siamo già in ritardo. Oggi le città affrontano sfide nuove, come il consumo zero di suolo e la rigenerazione urbana.
Le città perdono abitanti, i vecchi insediamenti produttivi, un tempo in periferia, oggi sono diventati centrali nel tessuto urbano, la vecchia concezione delle destinazioni d'uso a macchia di leopardo, oggi va rivisitata drasticamente per rigenerare dette aree mono tema, quartieri degradati non solo da un punto di vista edilizio ma anche socialmente.
La legge regionale Calabria 25/2022 tenta di affrontare queste problematiche, ma lo fa in modo superficiale, da incompetente e poco praticabile, non chiarendo i ruoli dei soggetti coinvolti.
La rigenerazione urbana richiede soluzioni innovative, superando normative ormai obsolete come il DM 1444/68, che risulta inapplicabile in contesti moderni per assenza delle zone omogenee. La zonizzazione non esiste più. Nel mentre bisogna intervenire su una città già esistente, con infrastrutture e servizi consolidati, la rigenerazione urbana va ripensata per eliminare le periferie amorfe e armonizzare il tessuto urbano.
La necessità di una riforma strutturale
Occorre una legge urbanistica nuova, che superi anche la perequazione o le dia un nuovo contenuto che trova soluzioni, necessariamente, nella verticalizzazione delle città in modo sostenibile. Si pensi a quello che si sta facendo a Milano per capire quale deve essere l'orientamento da adottare. La rigenerazione urbana deve essere finanziata non solo dallo Stato con premialità da definire, ma deve trovare importanti risorse in investimenti privati, garantendo un equilibrio economico tra costi e benefici.
Un altro punto critico è stata ed è l'assenza di un ruolo efficace della Mano Pubblica nella gestione del territorio. Questo non è un lusso, né una concentrazione di potere, ma una necessità, che richiede competenze elevate, spesso mancanti nelle burocrazie locali. Questo stato di cose deve trovare soluzioni coinvolgimento i Corpi Intermedi fino ai cittadini in un dialogo con la P.A partecipativo.
Problemi operativi e soluzioni normative
Il DM 1444/68 stabilì all'art.n.3 che ad ogni abitante da insediare corrispondessero mediamente 25 mq di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc vuoto per pieno).
Tra le due soluzioni proposte dal decreto si scelse quella volumetrica, che diede origine ad una interpretazione molto ampia di volume, si pensi solo al volume costituito dai solai, che solo di recente alcune leggi regionali hanno stabilito che la parte eccedente i 20 cm di spessore non costituisse volume se il maggiore spessore risolvesse problematiche di natura strutturale o di isolamento termico. Per non parlare poi dei volumi dei controsoffitti, spesso necessari per far passare l'impiantistica.
Oggi si è consolidato l'uso dell'indice di utilizzazione territoriale in termini di mq/mq utilizzando al posto del volume la superficie, quasi magicamente tutte le problematiche citate sono sparite, sapendo che il controllo della superficie di edificazione si verifica solo con la superficie lorda edificabile. Addirittura anche lo spessore del solaio, i 20 cm, viene cassato al fine del controllo della superficie edificabile.
In realtà il volume dovrebbe essere quello "respirato" dagli insediati a ragione dei parametri igienico sanitari da rispettare, pertanto come si è arrivati ad eliminare i solai adesso si aspetta l'ultimo chiarimento, ovvero l'eliminazione delle tamponature con la comparsa di una "superficie interna lorda".
Questo a dimostrazione che le semplificazioni in urbanistica devono essere innanzitutto culturali, e formulate dai tecnici di settore, con la necessità di precisazioni rispetto al passato e proposte per il futuro.
Alcune problematiche specifiche necessitano di interventi normativi chiari che tra l'altro alleggerirebbero le aule di giustizia:
Standard urbanistici: L'espansione delle città normate dalla L.U.N. del 1942 ha esaurito il suo ruolo originario di scopo. Le nuove norme devono adeguarsi alla rigenerazione delle città esistenti, con servizi già consolidati, con vuoti urbani da "rammendare", pertanto bisogna formare un nuovo modo di gestire il territorio e i servizi pubblici superando il DM1444/68 che non può più attuarsi con l'acquisizione di spazi pubblici, ma con una rigenerazione che deve interessare anche l'edilizia pubblica esistente.
Tolleranza edilizia: Una tolleranza uniforme, come il 5%, risolverebbe molte controversie tecniche, in quanto la tolleranza va verificata per ogni misura lineare e non con riferimento alle dimensioni dell'edifico interessato. Solo la tolleranza verificata sulla singola misura garantisce la validità dei calcoli strutturali. La sommatoria delle tolleranze potrebbe mettere in crisi l'equilibrio strutturale del manufatto.
Destinazioni d'uso: Per locali di piccole dimensioni (inferiori a 250 mq, misura del vicinato), la destinazione d'uso dovrebbe essere liberamente comunicata al Comune tramite una CILA gratuita dai cittadini, naturalmente per tutte quelle destinazioni che non necessitano di pareri sovraordinati ai fini della garanzia della vita e della salute.
Lottizzazioni: Serve chiarezza normativa sulla definizione dei piani di lottizzazione completati. Ogni qualvolta sono trasferite le aree per strade e standard al Comune e realizzate le opere di urbanizzazione primarie prese in carico dal Comune, la lottizzazione è completata. Quindi la lottizzazione è completata anche se l'edificazione sui lotti fondiari non è completa.
Dimensioni minime in zona agricola: Il rispetto autentico del patrimonio agricolo forestale si garantisce innanzitutto separando le residenze dagli edifici produttivi. Dovrebbero essere ammesse le residenze in zona agricola ogni qualvolta l'azienda agricola ha una estensione superiore a 10 ettari, ed i manufatti agricoli sono ammissibili per aziende superiori a 10 ettari dimostrando la necessità in base alle colture in atto ed alle loro lavorazioni.
Conclusione
L'urbanistica e l'edilizia devono essere viste anche come attività economiche e sociali, non come settori da criminalizzare. È fondamentale adottare una prospettiva rivoluzionaria, soprattutto in Calabria, che non deve più aspettare modelli appresi da altre Regioni, ma farsi promotrice di innovazioni legislative.
Lamezia Terme, 28 novembre 2024
Pasquale Materazzo – Ingegnere